lunedì 20 aprile 2020

Il fondo del barile. Petrolio a -37 dollari: chi lo acquista viene anche pagato

20/04/2020 17:24 CEST | Aggiornato 10 ore fa


Crollo storico del petrolio americano Wti, scende sotto zero dollari al barile sulle consegne di maggio e chiude a -37 dollari. Un tracollo mai visto: si paga per disfarsene. La ragione? Le aree di stoccaggio Usa verso la saturazione: non si sa più dove metterlo

HP
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C’è chi, vedendola arrivare, l’ha definita la “Pearl Harbor dell’energia”. E aveva ragione. Il collasso della domanda di petrolio provocata dall’epidemia e dai lockdown in tutto il mondo ha innescato un crollo storico del prezzo sul Wti (il marker per i produttori Usa), di oltre il 300% portandolo a livelli mai visti prima: in territorio negativo. Il prezzo per le consegne di maggio (futures in scadenza domani) è sceso ben al di sotto di zero dollari (tre mesi fa era 58 dollari), chiudendo a -37 dollari per barile. Un tracollo mai visto prima sul mercato dei contratti futures: significa che oltre al petrolio, chi lo ha acquistato è stato anche pagato. La ragione: nessuno lo vuole perché non si sa più dove metterlo. Le scorte sono al massimo, le aree di stoccaggio sono a un passo dalla saturazione, e nessuno prevede una ripresa a breve delle attività economiche e produttive capace di assorbire il surplus in circolazione. Sui mercati si traduce nel seguente comportamento: si chiudono le posizioni sui contratti in scadenza domani (barili in consegna a maggio) e ci si sposta sulle scadenze mensili future (Wti di giugno resta infatti sopra i 20 dollari). 
Anche il Brent (-7%) è calato ma restando ben al di sopra dei 25 dollari. Il problema della sovrapproduzione è comune a tutti, ma per gli Stati Uniti è più grave a causa della minore disponibilità di aree di stoccaggio nei pressi del mare, perché quelle di cui dispone sono con il petrolio fino al collo, per la quasi impossibilità di concordare o imporre tagli ai produttori per via delle leggi antitrust Usa. L’accordo raggiunto due settimane fa dai Paesi Opec, Russia e indirettamente dagli Stati Uniti per un taglio della produzione di quasi 10 milioni di barili al giorno (Bpg) non ha prodotto gli effetti sperati sui mercati. Si stima infatti che la domanda mondiale (100 milioni di bpg prima del Coronavirus) sia calata di almeno 20 milioni. Gli Usa sono i primi produttori al mondo grazie allo shale oil, il petrolio ricavato con la fratturazione idraulica, tecnica controversa e dispendiosa, primato ottenuto con una produzione intensiva mentre altri Paesi tagliavano che ha permesso al presidente americano Donald Trump di riuscire lì dove i suoi predecessori avevano fallito: declamare l’indipendenza energetica degli Stati Uniti.
I timori degli investitori sono aumentati dopo che l’Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti ha fornito i dati sulla saturazione dei principali hub americani: l’hub di consegna Cushing, Oklahoma, è attualmente al 69% della capacità di archiviazione operativa (rispetto al 49% di un mese fa); mentre l’hub di consegna di Rocky Mountain è attualmente al 60% della capacità di archiviazione operativa (rispetto al 49% di un mese fa). Nel complesso lo spazio per lo stoccaggio Usa è passato dal 50 al 57% in un mese. Come ha riportato qualche giorno fa il Wall Street Journal, sulle coste della Louisiana e del Texas è in arrivo una flotta di venti petroliere saudite con un quantitativo superiore di sette volte alla normalità, circa 40 milioni di barili. Partite da Riad  tra marzo e aprile, nei giorni in cui si registrò il fallimento dell’Opec+ e la guerra dei prezzi tra Arabia e Russia, l’approdo negli Usa è previsto per maggio. 
A rendere più marcato il crollo del prezzo del Wti e ad aumentare lo spread con il Brent è stata la decisione del Us Oil Fund, il fondo petrolifero americano da 3,8 miliardi di dollari - che rappresenta circa il 25% di tutti i contratti in essere nei futures Wti - di apportare significativi aggiustamenti al suo portafoglio. Solito operare sui contratti a scadenza sul primo mese (maggio, che scade con alla chiusura delle contrattazioni di domani), da venerdì scorso ha chiuso il 20% delle sue posizioni spostandole sui futures di giugno, quando la quotazione del barile è ben più alta sui 22 dollari. Il prezzo del greggio è in territorio contango, anzi super-contango con i prezzi pronti (spot) di gran lunga più bassi di quelli futuri: la differenza tra il contratto maggio e quello giugno è di oltre 40 dollari, superando il record di 8,49 dollari tra il contratto in scadenza e il successivo visto a dicembre 2008. La modifica del Us Oil Fund resterà in vigore fino a nuovo avviso. 
Il lockdown mondiale ha lasciato aerei a terra, navi all’ancora e autostrade deserte, assestando uno dei colpi più duri della storia al mercato del greggio: il settore dei trasporti rappresenta circa il 50% della domanda di petrolio (benzina, cherosene). Ma a pagare il prezzo più alto al crollo della domanda, saranno i produttori americani. Affinché lo scisto (shale oil) sia remunerativo, si calcola che il prezzo del greggio non debba scendere al di sotto della soglia dei 35-40 dollari al barile. Il primo aprile Whiting Petroleum ha dichiarato bancarotta, il suo titolo a Wall Street è crollato del 44%. La società petrolifera attiva nella regione Bakken in Nord Dakota (produzione di 120mila bpg), ha fatto ricorso alla ristrutturazione prevista dal Chapter 11. Negli stessi giorni anche la Calleon Petroleum ha attivato advisors per ristrutturare i suoi debiti. Primi segnali di un collasso energetico. Come riporta il Financial Times, i dati di Baker Hughes di venerdì hanno mostrato che il numero di piattaforme petrolifere attive negli Stati Uniti è diminuito di oltre un terzo nell’ultimo mese, ma il parziale stop all’estrazione non ha fatto aumentare il prezzo dei barili. Il problema è sempre lo stesso: dove metterli.

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